Prima di trattare dell’attuale procedura delle cause di beatificazione e di canonizzazione, è opportuno definire questi stessi termini precisamente e brevemente alla luce delle precedenti considerazioni.
La canonizzazione, generalmente parlando, è un decreto che riguarda la venerazione ecclesiale pubblica di un individuo. Tale venerazione comunque può essere permissiva o precettiva, universale o locale. Se il decreto contiene una prescrizione, ed è universale nel senso che lega l’intera Chiesa, si tratta di un decreto di canonizzazione; se invece permette soltanto tale culto, o se lega sotto prescrizione ma non riguardo a tutta la Chiesa, si tratta di un decreto di beatificazione.
Nell’antica disciplina della Chiesa, probabilmente addirittura sino al tempo di Papa Alessandro III (1181), in molte diocesi i vescovi potevano concedere che una pubblica venerazione fosse tributata a dei santi, e tali decreti episcopali non erano soltanto permissivi, ma, ci sembra, precettivi. Tali decreti, comunque, non potevano prescrivere l’onore universale; l’effetto di un atto episcopale di tale tipo era equivalente alla nostra moderna beatificazione: In tali casi non c’era, propriamente parlando, nessuna canonizzazione, tranne che con il consenso del Papa che estendeva il culto in questione, implicitamente o esplicitamente, e che lo imponeva con una prescrizione a tutta la chiesa.
Nella più recente disciplina la beatificazione è un permesso a venerare, concesso dal Romano Pontefice con restrizione a certi luoghi e a certe pratiche liturgiche. Così alla persona nota come Beato (cioè Beatificato) non è lecito tributare pubblica reverenza al di fuori del luogo per il quale il permesso è concesso, o recitare un ufficio in suo onore, o celebrare la Messa con preghiere che si riferiscono a lui, tranne che non si sia concesso uno speciale indulto; ugualmente, altre forme di onore sono state interdette. La canonizzazione è una prescrizione del Romano Pontefice che ordina che la venerazione pubblica sia tributata a un individuo nella Chiesa Universale.
Riassumendo, la beatificazione, nella presente disciplina, differisce dalla canonizzazione in questo: che la prima implica un permesso a venerare ristretto localmente, non universale, che è un mero permesso, e non un precetto; mentre la canonizzazione implica un precetto universale. In casi eccezionali uno elemento o l’altro di tale distinzione può mancare; così Papa Alessandro III non soltanto permise ma ordinò il culto pubblico del Beato Guglielmo di Malavalle nella Diocesi di Grosseto, è la sua decisione fu confermata da Papa Innocenzo III (1160-1216); Papa Leone X (1475-1521) agì allo stesso modo riguardo al Beato Osanna per la città e il distretto di Mantova; così anche Papa Clemente IX (1600-1669) riguardo alla Beata Rosa da Lima, quando la scelse quale patrona principale di Lima e del Perù; e Clemente X (1590-1676), proclamandola patrona di tutta l’America, le filippine e le Indie. Clemente X scelse anche il Beato Stanislao Kostka come patrono della polonia, della Lituania e delle province alleate. Ancora, riguardo all’universalità, Sisto IV (1414-1484) permise il culto del Beato Giovanni Boni nella Chiesa Universale.
In tutti questi esempi ci fu soltanto una beatificazione. Il culto della Beata Santa Rosa da Lima, è vero, era generale ed obbligatorio per l’America, ma, mancando la completa obbligatoria universalità, non era strettamente par-lando una canonizzazione (Benedetto XIV, op. sit., I, xxxix). La canonizzazione, perciò, crea un culto che è universale ed obbligatorio. Ma nell’imporre quest’obbligo il Papa può usare, ed in effetti usa, uno di questi due metodi, ognuno dei quali costituisce una nuova specie di canonizzazione, cioè la canonizzazione formale e la canonizzazione equivalente.
La canonizzazione formale si ha quando il culto è prescritto con una decisione esplicita e definitiva, dopo un adeguato processo giudiziale e le cerimonie usuali in tali casi. La canonizzazione equivalente si ha quando il Papa, omettendo il processo giudiziale e le cerimonie, proclama qualcuno servo di Dio per essere venerato nella Chiesa Universale; questo accade quando un tale santo è stato dai tempi antichi oggetto di venerazione, quando le sue virtù eroiche (o martirio) e i suoi miracoli sono riportati da storici affidabili, e la fama della sua miracolosa intercessione è ininterrotta. Molti esempi di tale canonizzazione si trovano in Benedetto XIV: per esempio, i Santi Romualdo, Norberto, Bruno, Pietro Nolasco, Raimondo Nonnato, Giovanni di Matha, Felice di Valois, la Regina Margaret di Scozia, il Re Stefano d’Ungheria, Venceslao Duca di Boemia, e Papa Gregorio VII. Tali esempi offrono una buona prova della prudenza con cui la Chiesa Romana procede in queste canonizzazioni equivalenti. San Romualdo non fu canonizzato che 439 anni dopo la sua morte, e tale onore pervenne a lui molto prima che a tutti gli altri sopra menzionati.
Si può aggiungere che la canonizzazione equivalente consiste usualmente nel prescrivere da parte del Papa un Ufficio e una Messa in onore del santo e che il solo comparire nell’elenco del Martirologio Romano non implica in alcun modo questo onore (Benedetto XIV, l, c., xliii, n. 14).