Enrichetta, è stata lei ad accogliermi e guidarmi nella vita

Sono entrata per la prima volta nell’appartamento di via Depretis a Roma nel 2008. Fresca di dottorato, mentre la mia tesi si apprestava ad essere pubblicata, ero stata chiamata dal mio professore a visionare l’archivio privato di Padre Paolino Beltrame Quattrocchi. Era caduta su di me la scelta d’indagare testi e documenti in grado di ricostruire la biografia, lunga un secolo, di quel monaco benedettino e poi trappista, dalla vita contemplativa e avventurosa. Non conoscevo ancora Enrichetta, l’avrei incontrata quel giorno. Confidavo che avrebbe potuto essermi d’aiuto nell’approccio alla ricerca, guidandomi attraverso la sua testimonianza, ma ero consapevole di andare a conoscere una donna di 96 anni, forse provata dall’età avanzata, magari stanca, non più in grado di ricordare i dettagli di un passato lungo e ricco di avvenimenti. Tutt’altro. La nostra prima conversazione, che registrai, durò oltre due ore, impresse non solo su un supporto digitale ma vivide nella mia memoria. Fin dal primo momento la figura di Enrichetta si sarebbe rivelata centrale nel lavoro di ricerca, nella stesura del libro, nella mia vita personale. Era inferma sulle gambe, certo, ma per il resto aveva lo spirito di una ragazzina, gli occhi vivaci, l’intelligenza, la conoscenza, la curiosità, il sorriso sempre pronto ad aprirsi. Di qualunque cosa si parlasse, parlava a te, alla tua parte più profonda, intima, celata e lo faceva con una grazia, una delicatezza che ti induceva a ringraziarla per quel suo scavare, che altrimenti potrebbe scambiarsi per intromissione. Enrichetta aveva l’istinto naturale di prendersi cura dell’anima di chi arrivava a lei, ma lasciando, con garbo straordinario, che fossi tu ad aprirle il cuore e mai il contrario. È attraverso di lei che ho potuto scoprire, e raccontare, lo spirito di Padre Paolino e non solo la sua storia come sequenza di avvenimenti. Erano lo specchio di una sola medaglia, l’una il contraltare dell’altro. Enrichetta, la “figlia che non doveva nascere”, tenacemente voluta a rischio della vita della madre con un affidavit, pronunciato all’unisono dai futuri beati Luigi e Maria, sarebbe divenuta l’ancella di casa, il sostegno, la cura che avrebbe consentito ai fratelli di partire ciascuno verso la propria vocazione. Proprio Padre Paolino l’avrebbe scritto ripetutamente, rendendo grazie alla “vocazione speciale” di quella sorella, più piccola di lui di soli 4 anni, a cui lo legava un affetto speciale e una così chiara somiglianza caratteriale, che si sarebbe espressa in una vita speculare ma in un’unica “trappa”. Ho sorriso commossa quando ho letto per la prima volta la lettera scritta da Padre Paolino a Enrichetta nel giorno del suo cinquantesimo compleanno (5 aprile 1963), e lei si emozionava ascoltandomi rileggerla a voce alta. La lettera è riportata integralmente nella biografia di Padre Paolino perché racconta lui quanto lei; e rende pienamente l’indissolubilità di un legame che non può intendersi se si guarda all’una o all’altro dei fratelli separatamente. Vale la pena riportarne qui un passaggio per spiegare in poche righe quanto intenso sia stato ogni momento di quel lavoro, ogni documento ritrovato, ogni tassello ricomposto, che mi mostrava Padre Paolino, la cui biografia si delineava sempre più chiaramente, ma anche Enrichetta e l’intera famiglia. Non ti ho mai detto, Enrichetta mia cara – ma credo fosse superfluo dirtelo! – fino a che punto ti sono grato per quello che rappresenta, per me, la tua presenza al fianco di mammà. La sicurezza, la serenità, la gioia, la tenerezza, la riconoscenza, l’ammirazione per quello che tu sei e fai – per tutti noi – accanto a lei, consentendo così a noi di poter continuare sereni tranquilli e fidenti sul cammino diverso che il Signore per noi ha tracciato. E quanto ne son grato, oltre che a te, al Signore e alla sua Mamma! Sono stati molti i momenti in cui con Enrichetta ci siamo commosse, abbiamo ragionato e riflettuto alla ricerca di tracce d’archivio, abbiamo esultato per un documento ritrovato, visto crescere la nostra intesa di pari passo con il percorso di indagine svolto. Due circostanze, tra tante, non dimenticherò mai. La prima, più strettamente legata al lavoro storico, è stata quando abbiamo potuto confermare, documenti alla mano, quello che Enrichetta aveva intuito da tempo: Padre Paolino è Don Camillo!. Sì, proprio lui, il personaggio creato da Guareschi, così noto e amato dal grande pubblico. Pezzo dopo pezzo, racconto dopo racconto, film dopo film visionato, tanti indizi e infine, la dichiarazione, limpida e inconfutabile, nell’autobiografia dell’autore: «A proposito di Don Camillo, bisogna che ne parli: anche perché non si chiama don Camillo bensì Padre Paolino. Ed io lo conobbi nel settembre del 1945 a Pescantina perché lui era là, con la Pontificia Opera d’Assistenza, ad accogliere noi reduci dai lager». La seconda, quando, ultimata la stesura della prima bozza del libro, la feci leggere a Enrichetta. Lei mi disse: «Non so come tu sia riuscita a cogliere così pienamente l’animo di mio fratello, lo spirito che ne guidava le azioni». Naturalmente, io sapevo come ci ero riuscita: era stata lei a guidarmi. E niente avrebbe potuto essere più gratificante di quelle parole. Quando, nel dicembre 2014, il libro venne presentato per la prima volta al pubblico, nella Sala del Refettorio della Camera dei Deputati, Enrichetta non era più su questa terra, ma è stata su quel palco per tutto il tempo – nel libro, nelle mie parole (non so quante volte l’ho citata) – così come era in platea, tra le sue amiche, tutte presenti.

Oggi, Enrichetta e Padre Paolino, continuano a essere con me sempre.

Scritto da: Fiorella Perrone