Oggi 6 aprile 2020 ricorre l’ottava celebrazione dell’anniversario della nascita – avvenuta la prima volta nel 2012 – dell’amata sorella, amica, “madre” spirituale, la Serva di Dio Enrichetta Beltrame Quattrocchi. Come avvenne allora – nel giorno della difficile nascita, il 6 aprile 1914 -, la ricorrenza di oggi è un’esplosione di vita, un “Magnificat”, in un contesto di profondo raccoglimento e preghiera: siamo infatti entrati ieri, con la Domenica delle Palme, nella Settimana Santa e la Liturgia ci fa rivivere le ultime giornate della vita terrena del Signore Gesù. (…) La vita della Serva di Dio Enrichetta Beltrame Quattrocchi, è il miglior commento al Vangelo di oggi: l’unzione di Betania (Gv 12,1-11). Per noi, riuniti in preghiera nel ricordo della Serva di Dio Enrichetta, il gesto dell’unzione di Maria di Betania richiama la luminosa testimonianza che la Serva di Dio ha offerto in tutta la sua vita: quella di un amore appassionato per Cristo “servito per primo”, la famiglia, la scuola, il sociale,
sempre prodigandosi, senza riserve e senza risparmio per gli altri, specialmente per i poveri e i sofferenti, che costituivano, si può dire, la sua famiglia di adozione, che andava via via allargandosi con il dilatarsi del suo cuore di madre nello spirito: così quella casa di Roma e quella di Serravalle di Bibbiena –  soprannominate appunto “Casa Betania” -, sempre aperte ad ogni ora, sono a tutt’oggi
un segno eloquente di Vangelo vissuto. Ella si definiva “come il “mestolino” di Dio, un umilissimo strumento domestico con il quale, però, poteva distribuire ai poveri e agli affamati quanto lei stessa
prelevava dall’abbondante mensa divina, facendo rifulgere tra i giovani l’ideale della santità” (A.M. Cànopi). Tutti ella accoglieva, ascoltava, consigliava, accompagnava, stimolava, incoraggiava e sosteneva. Chi non ricorda le sue qualità e virtù come ad esempio: la soprannaturale attenzione alle cose; la pronta memoria; la lucida e penetrante capacità intuitiva e di ragionamento; l’equilibrio tra pensiero, affetto, decisione e rispetto dei valori; la tenace forza d’animo; l’appropriato discernimento, sostenuto dalla sua ricca esperienza; l’adattabilità a persone e situazioni nuove. Come non sottolineare ancora la sua intensa e fruttuosa attività nell’annunciare il Vangelo della famiglia vissuto e trasmesso, come l’eredità più preziosa ricevuta in dote dai suoi Beati Genitori Luigi e Maria, avvalendosi da “giovane” novantenne anche dei mezzi più moderni di comunicazione (internet, telefonino, etc.); chi non sa delle sue continue sofferenze, fisiche e spirituali, vissute in unione al Cristo, da cui si lasciò educare con fede grande e amore intenso; come non ricordare poi la sua serena dipartita da questo mondo, vissuta come un’offerta silenziosa allo Sposo divino tanto atteso. Gesù Cristo è stato veramente il suo “tutto”! Nella sua ferialità nutrita di Eucarestia e lettura spirituale entrava il Soprannaturale ponendo così sapientemente tutta la sua vita nelle mani di Dio perché ne  facesse un capolavoro, secondo i suoi “disegni”: da esperta storica dell’arte. L’intera esistenza della Serva di Dio Enrichetta è stata un tessuto di grazia, il cui stile di fede e di vita ella assimilava dal suo grande amore per la Vergine Maria (come provano i frequenti pellegrinaggi a Lourdes, Loreto, Pompei e Siracusa): un amore per la Vergine Maria dimostrato attraverso la pratica devota e costante del Santo Rosario, come testimoniano le ultime parole che sussurrò al Signore prima di lasciare questo mondo, sabato 16 giugno 2012, nella ricorrenza liturgica della memoria del Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria: “Gesù vienimi a prendere, sento la tua luce, voglio portarti quello che ho fatto”. “La sua missione ancora non è compiuta, anzi, si può dire che comincia veramente soltanto adesso. Da lei, infatti, riceviamo tutti incoraggiamento e sostegno. Da lei la famiglia si sente incoraggiata ad amare e a promuovere la vita; in lei i giovani trovano uno stimolo per coltivare alti ideali; in lei i consacrati possono ritrovare ogni giorno la gioia di offrirsi al Signore; in lei anche i non credenti si sentono spinti a domandarsi chi sia quel “Gesù” che ha infiammato il cuore di una donna tanto da farne una sua autentica testimone per i vicini e i lontani, in vita e in morte” (A.M. Cànopi).Oggi risulta assolutamente estraneo alla sensibilità di giovani, o meno giovani, pensare che tutti noi abbi amo beneficiato delle fatiche e delle sofferenze di coloro che ci hanno preceduto e hanno atteso di consegnare le condizioni migliori per consentire a noi di crescere e promuovere a nostra volta il futuro. Noi siamo i destinatari di un’eredità e una responsabilità che i sacrifici e le speranze inimmaginabili delle generazioni passate ci hanno trasmesso come patrimonio prezioso. Parte di questo patrimonio sono la famiglia e il bene comune che attualmente rappresentano, in sostanza, due vulnera: quasi che la seconda – il bene comune -, configurandosi come un’espansione virtuale della prima, risenta della crisi della prima – la famiglia -, tanto spesso disgregata. Ricorrere a figure come i Beati Coniugi, Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi, e la loro figlia, la Serva di Dio Enrichetta credo, a mio parere, che abbia a tal proposito una forte valenza esemplare da risultare quanto mai opportuno, anzi necessario. Se si pensa alla loro esperienza e testimonianza si assiste a una parabola esistenziale straordinariamente, anzi eroicamente, densa. Già nel 1940 la Beata Maria in un suo scritto aveva espresso che – lei e il Beato Luigi – si erano impegnati ad insegnare e ricordare, tra l’altro, ai figli che «amassero lealmente e con entusiasmo la Patria e le sue istituzioni, e i doveri che sono ad esse connessi (…)». Così l’intera famiglia ebbe modo di tener fede a questo “amore” quando, durante le drammatiche vicende dell’occupazione nazista di Roma (1943-1944), sprezzante ed incurante del pericolo, accolse perseguitati politici, soldati, famiglie in pericolo: soprattutto quelle di origine ebraica riuscendo a salvarle dal loro tragico destino, nascondendole, provvedendo loro del necessario, spesso facendo travestire gli uomini con abiti ecclesiastici e fornendo loro tutto il necessario per allontanarsi dal pericolo della cattura. Addirittura, nell’accompagnare ai treni i mariti travestiti da religiosi, più di una volta le mogli lasciavano trasparire ansia e commozione, provocando lo stupore degli astanti! Inoltre non si può trascurare di ricordare che ancor prima, nel 1936-’37, i Beati Coniugi compirono viaggi a Lourdes e a Loreto per accompagnare gli ammalati in pellegrinaggio; e che in questo servizio Enrichetta s’impegnò insieme ai suoi genitori con altrettanto generoso impegno. Ancora nel 1937 la Beata Maria, a 52 anni, conseguì il diploma di infermiera volontaria della Croce Rossa Italiana prestando assistenza negli ospedali militari di Roma; mentre nel 1940 anche Enrichetta si affiancò alla madre divenendo infermiera della Croce Rossa, avendo iniziato come semplice volontaria nel 1939. Anche i due figli sacerdoti, Dom Paolino e Dom Tarcisio, negli anni 1940-’41 partirono per il fronte come cappellani militari offrendo assistenza religiosa ma anche supporto informativo a soldati e partigiani (con l’aiuto di Enrichetta e dell’intera famiglia) e anche nella cura di famiglie mobilitate e perseguitate – tra cui numerosi ebrei -.Queste notizie, di assoluta certezza storica, erano da considerarsi ancora più rischiose se si riflette sul ruolo di Luigi, Avvocato Generalo dello Stato, personaggio di assoluto prestigio professionale posto ai livelli più alti della vita di una nazione: ma nulla ha fermato questa famiglia nell’ansia di voler soccorrere con generosità chi allora era in pericolo! Dalla testimonianza dei Beltrame Quattrocchi si evince lo slancio ardente di custodire e tenere alto il valore della vita, della persona, della famiglia, della pace e del bene del proprio Paese, specie dei più deboli e discriminati, difendendoli con le armi della fede, del dovere (di rispettare le leggi e di lavorare con coscienza) e del servizio – nei tempi dell’emergenza e in quelli ordinari – con coraggio e generosità, nella certezza che quello che si è e si ha non può essere trattenuto per se stessi perché in qualche modo appartiene di diritto agli altri. Di fronte all’egoismo che, spesso, si rivela pericolosamente – come ha pure sottolineato Papa Francesco – assistiamo quotidianamente a un sforzo sovrumano da parte di quanti (medici, operatori sanitari, scienziati, autorità, lavoratori, insegnanti, famiglie, Chiesa etc.) mostrano davvero uno spirito di abnegazione capace di giungere, in alcuni casi fino all’eroismo, quasi che ospedali, laboratori, quartieri, mercati, fabbriche, scuole… siano l’equivalente di quei terreni di battaglia dove, un tempo, si difendeva la giustizia e la pace. Non sono certo una buona notizia i costi umani che l’epidemia di Coronavirus sta causando sul pianeta; ma occorre cogliere il segnale che questa vicenda ci offre: è necessario un cambiamento radicale nei nostri modelli e stili di vita, reinserendosi in un circolo virtuoso che ponga al centro di tutto l’umanità, orientata nella direzione di uno sviluppo umano che sia davvero integrale. In tal senso Papa Francesco raccomanda oggi due cose fondamentali: «In questo tempo, nel quale è necessaria tanta unità tra noi, tra le nazioni, preghiamo per l’Europa, perché l’Europa riesca ad avere questa unità, questa unità fraterna che hanno sognato i padri fondatori dell’Unione Europea»; e anche per la 50esima Giornata Mondiale della Terra: «È un›opportunità per rinnovare il nostro impegno ad amare la nostra Casa comune e prenderci cura di essa e dei membri più deboli della nostra famiglia» (22.04.2020). Non possiamo rinunciare alla cura della vita, della Terra, della persona, della famiglia, dell’Italia, dell’Europa, del mondo: trascurare queste realtà vorrebbe dire tranciare di netto le nostre comuni radici: e, si sa, che se le radici vengono tranciate anche l’albero più vigoroso è destinato a una fine miseranda.