L’ epidemia del Coronavirus – Covid 19 – in pochi mesi ha condizionato profondamente le nostre vite, mettendoci in una condizione che ci servirà da lezione per il futuro perché si tratta di una crisi per molti aspetti nuova, devastante, che ci pone drammaticamente di fronte a uno dei rischi della globalizzazione: nessuno è veramente al sicuro da drammi naturali e la salute è realmente un ‘bene pubblico globale’, che va difeso a beneficio – e con l’impegno – di tutti. Questa situazione imprevista e imprevedibile pone, a parer mio, l’accento su aspetti critici del mondo contemporaneo: la globalizzazione dei problemi con la conseguente perdita dell’identità storica, sociale, culturale, etica di una nazione. La stessa differenza che si produce a livello globale, dove la maggiore esposizione alle ondate epidemiche si riscontra nei paesi poveri, si riproduce in qualche modo nelle nostre società, quando si cerca di capire chi sta pagando il prezzo maggiore di questa situazione: certamente si tratta di coloro che già vivono la fragilità, ad esempio in primis gli anziani. A tal proposito, oltre al dramma della diffusione di un virus pressoché sconosciuto e subdolo, assistiamo – come purtroppo sentiamo – al dramma di fratelli e sorelle più deboli esposti al rischio estremo per la propria vita. Appare evidente come questa emergenza, oltre a colpire tutti, ha posto in risalto la condizione precaria di persone (i piccoli, gli ammalati, gli anziani, i diversamente abili, i soli, i poveri, etc.) ma anche la possibilità di riscoprire e condividere importanti risorse (gli affetti, l’amicizia, la comunicazione, l’autorità, la cultura, la storia, la scienza, la fede, la solidarietà, etc.) che possono essere messe a disposizione per il bene di tutti. Alla luce di quanto dicevamo una considerazione ci sovviene: per esempio gli anziani sono stati, evidentemente, genitori, oggi sono nonni, hanno delle famiglie a cui appartengono, sono ancora cittadini. Essi pure, autosufficienti o meno, rappresentano una risorsa: la memoria che trasmettere valori ed esperienza e arricchisce i legami. Attualmente, anche sulla scorta di quanto sta succedendo, l’abbandono e la sofferenza degli anziani costituisce un primo, importante indizio della perdita d’identità di una società che preferisce per certi motivi (profitto, interesse personale, convenienza, indifferenza, etc.) rinunciare alla memoria storica della famiglia, delle generazioni, delle tradizioni, delle conquiste: insomma di un patrimonio umano incalcolabile conservato nei pensieri, nei sentimenti, nei ricordi e nelle parole dei nostri cari anziani. Chiunque trascura in qualsiasi modo la generazione della “maggiore età”, prefigura il gradino iniziale di una scala che porta, via via, a uno svuotamento di senso e di significato nell’ambito dei valori sociali, civili e morali che vengono mortificati dalla prospettiva materialista e funzionalista del mondo attuale. Se consideriamo quanto sia diffuso questo modello comportamentale, possiamo anche comprendere come, di conseguenza, alti valori vengano vanificati e svuotati nella loro essenza: come ad esempio l’“amor di Patria” – oggi traducibile in termini di cura dell’identità e della condizione della nazione cui si appartiene, in vista della costruzione del bene comune e della pace – che ha comportato nel passato recente il sacrificio – reso talora in circostanze drammatiche (crisi economiche, contrasti sociali, guerre, etc.) – di padri, figli, cittadini, lavoratori (e delle loro famiglie) uniti nel promuovere un futuro libero, giusto e più promettente alle future generazioni.