L’obbedienza è un dono dall’Alto che ci abilita ad accogliere il progetto che Dio ha preparato con infinito amore per ciascuno di noi e ci rende capaci di vivere in comunione di vita e di missione con Gesù. Così si rinuncia a investire le energie per un programma personale e ci si rende pienamente disponibili per il disegno del Signore con una intensa carica di amore per lui e per il prossimo.

Per colui  che  vive  questa  impegnativa  avventura  di esclusiva  e  incondizionata  donazione  al  Signore,  non  vi sono più obiettivi personali, ma il tempo, le energie, i carismi e le risorse sono a disposizione del Signore per realizzare in pienezza il suo progetto su di noi. Pertanto, colui che si dispone a collaborare per realizzare il progetto preparato dall’Alto manda definitivamente in soffitta i sogni, i programmi e le aspirazioni personali per dedicarsi con gioia e generosità per il piano divino.

E questa è stata esattamente l’esperienza di Enrichetta Beltrame Quattrocchi! Lei andava accarezzando da tempo nel suo cuore un sogno avvincente: “farsi suora”, consacrare l’intera sua vita e le sue energie per il Signore e per i fratelli, entrare in un istituto religioso per dedicarsi alla preghiera costante e alle opere di carità.

E questo del resto era stato il “testamento” spirituale della sua mamma Maria, e che Enrichetta aveva scolpito nel cuore con filiale devozione: “Figlia mia, fa’ della tua vita una lode perenne a Dio, una dedizione generosa e giocon- da che non abbia confini. Fa’ conoscere Gesù attraverso l’anima tua. Sii un ostensorio, una “particella d’Eucaristia” che si dona, come Gesù si dona a noi, senza riserve”.

Ed invece la Volontà di Dio aveva preparato per lei un altro progetto…! consacrata sì, ma non nel convento, bensì nella casa paterna per dedicarsi all’umile e fedele servizio di suo fratello don Tarcisio. Certo, questa novità imprevista contraddiceva palesemente le sue personali aspirazioni, ma quel che realmente contava ora per lei era attuare giorno dopo giorno il Volere divino. Così il suo generoso si” a Dio si traduceva in molti gioiosi e generosi “si” alle reali esigenze quotidiane di don Tarcisio.

Per lei l’attuazione della Volontà di Dio non era un impegno tra i molti da espletare nella fuga dei giorni. No! La divina Volontà costituiva per lei la trave portante, il pilastro , il fondamento che reggeva l’intera costruzione della sua vita interiore. Per cui, se per strana ipotesi, fosse venuto a mancare nel cammino interiore della Serva di Dio questo architrave, sarebbe venuto meno il suo intero edificio spirituale.

Il Signore le riservava una bella novità! Dopo che Enrichetta aver impresso il giusto ritmo ordinato alle sue giornate, si accorse con gradita sorpresa che poteva disporre del tempo anche per opere di carità; poteva dedicarsi ai profughi del secondo conflitto mondiale, agli orfani e agli invalidi di guerra, ai molti poveri  che  bussavano alla porta della sua carità. Così lei notava felicemente che la geografia del suo cuore  si  era  dilatata  in modo  imprevisto,  senza dover  rinunciare  agli  appuntamenti   e   ai   doveri quotidiani   della   propria   casa e del suo fratello. Ogni  genere  di  bisognosi  nel  corpo  e  nello spirito     poteva     sempre contare su di lei, sul suo aiuto   costante,   sul   suo tempo,  sulle  sue  forze,  il suo cuore e il suo spirito. Lei  era  la  donna  del  “sì”; sapeva  farsi  trovare  dal Signore  e  dai  fratelli  in qualunque    ora,    perché per  lei,  amante  della  divina Volontà, era sempre orario di servizio di carità .Le sue mani e il suo cuore erano sempre aperti. “Perciò  possono riferirsi a Enrichetta le parole che scriveva il frate domenicano Jean  Cardonnel (1921-2009)    sul    conto di una sua persona amica -, quando è giunta per lei la morte, non ha trovato nulla da catturare, poiché tutto era già stato dona- to…Il dono precede qualsiasi volontà di cattura”.

E questo servizio di amore per i fratelli rende realmente libera la persona come conferma l’apostolo Paolo con un’espressione folgorante nella prima lettera ai Corinzi: “Pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti” (1Cor 9,19). Proprio così! Chi si dispone a obbedire non rinuncia alla propria libertà, ma “libera la propria libertà crocifiggendo l’amore di sé” come insegnava il teologo ortodosso Olivier Clement (1921-2009).

E pienamente libera si sentiva la Serva di Dio, perché era convinta che giorno per giorno andava tracciando il solco della vita per diventare ciò che doveva essere secondo il progetto di Dio. La sua obbedienza si collocava precisamente al servizio di questa libertà. E con la libertà, sempre e inseparabilmente, anche la gioia. Questa infatti è un gustoso frutto per tutti coloro che sono interiormente liberi.

E’ pur vero che l’obbedienza implica sacrifici, rinunce, abnegazioni, sofferenze, tensioni, ma è altrettanto vero che il ripetuto esercizio del “dipendere” dalla Volontà di Dio rende agevole e facile il compito da svolgere e, con esso, esplode la gioia della persona che non vive per sé, ma per gli altri, per i più poveri tra i poveri. Enrichetta era sempre  lieta, felice, mai triste; anzi comunicava a tutti coloro che avvicinava un santo contagio di intima gioia.

Enrichetta: apostola feconda dell’offerta

La figura di Enrichetta si confonde con l’amore verso gli al- tri, verso i bisognosi, verso coloro che a causa della guerra necessitano di assistenza, cure e conforto spirituale all’estremo. Enrichetta non si ferma davanti alle difficoltà del momento: diventa Infermiera della Croce Rossa e spende la sua vita per i militari feriti durante il conflitto. Ma è singolare vedere come questa giovane di salute cagionevole fin dalla più tenera età, in realtà fu riempita da una tale grazia di Dio che poté sprigionare una fiamma di carità universale. Infatti le sue attenzioni riguardarono anche ecclesiastici e persone che si riunivano presso di lei a parlare di Dio, a confidare reciprocamente le esperienze di fede, a ricevere da Enrichetta gioia ed entusiasmo.

Dalle notizie biografiche che conosciamo ella formò il pro- getto di unirsi a uno sposo e di formare una famiglia sul modello di quella che aveva visto, in Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi, un esempio di coppia cristiana totalmente aperta a Dio, alla sua forza, al suo amore. Due tentativi non si conclusero con il matrimonio, ma sicuramente Enrichetta non aveva escluso dalla  sua  consacrazione  l’amore  fecondo,  profondo e spirituale da condividere per tutta la vita con un uomo che potesse avere in comune  con lei i suoi ideali di donazione e di consacrazione. Sicuramente Enrichetta immaginò di essere madre, di poter accudire ai frutti del suo grembo, ad allevarli fin da piccoli agli ideali della vita cristiana più pura e autentica. Dal comportamento successivo si può dedurre che un profondo lavoro interiore dovette convincere Enrichetta a rinuncia- re al matrimonio, anche se con sacrificio. Questo non significò un inaridimento del suo cuore, una chiusura intimistica in una religiosità solo personale e individuale. Invece comportò una disponibilità ancora maggiore verso coppie e famiglie che si recavano da lei per ascoltare parole di saggezza proprio sui temi dell’amore sponsale, della crescita e formazione dei figli, dell’abnegazione che ogni famiglia cristiana esige per potersi mantenere sempre come un dono reciproco.

Un altro momento di conversione dei suoi progetti a quelli di Dio si mostrò quando, nel 1956, manifestò il desiderio di entrare in una congregazione religiosa e lì vivere più intensa- mente il suo desiderio di consacrazione. Anche questa forma di vita spesa per amore solo di Dio trovò un’altra strada per divine disposizioni, manifestate attraverso i suoi padri spirituali e le necessità della sua famiglia e degli altri, che avrebbero dovuto ricevere a piene mani il dono della sua presenza. Ancora un lavorio sulla sua personalità, ancora una forma di rinuncia che non alterò minimamente le qualità di Enrichetta. Se non poteva vivere i voti dentro un convento, poteva viverli nel mondo e per il mondo, immolandosi personalmente e illuminando con la sua virtù quanti si avvicinavano a lei, nell’insegnamento, nelle attività culturali artistiche che le permisero di mettere a fuoco le sue capacità intellettuali più profonde, sempre tenendo presente il suo scopo di portare Gesù a tutti, di essere un ostensorio vivente di Dio. E Dio, il Dio di Enrichetta era il Padre che aveva fatto risorgere dai morti il suo Figlio crocifisso per la salvezza del mondo. Portare Cristo nel mondo significò per lei trasmettere la vita e la gioia della risurrezione tra gli uomini, manifestando a tutti che Gesù non è solo il Gesù della storia, ma è il Cristo della fede, il Salvatore Misericordioso che lava le colpe di ciascuno, le dimentica e lo accompagna nel cammino della vera vita per condurlo, dolce- mente, quasi invisibilmente, a quella futura. Enrichetta continuava svolgere dal Cielo l’apostolato del Risorto, pregando perché ogni uomo e donna della terra lo conoscano e lo amino come mèta del loro pellegrinaggio terreno.